spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

sabato 11 gennaio 2014

LA SCUOLA CHE VORREI

“La scuola che vorrei”: per i nostri lettori è pubblica e moderna (ma non troppo)

Stop al finanziamento di Stato agli istituti privati. Più spazio alle materie tecniche e alle lingue, ma senza accantonare le materie classiche che ci distinguono dal resto del mondo. E qualcuno vorrebbe che gli insegnanti fossero assunti direttamente dai presidi. Ecco alcune delle proposte inviate dai lettori di ilfattoquotidiano.it dopo che il ministro Carrozza ha annunciato un grande sondaggio online sui problemi dell'istruzione in Italia

Scuola
Su una cosa i lettori del Fatto sembrano non avere dubbi: la scuola che vorrebbero è innanzitutto pubblica. Basta finanziamenti alle private e alle paritarie. Specie in un momento di crisi come quello che sta attraversando il Paese, le (poche) risorse a disposizione dovrebbero essere destinate alle statali.
Il dibattito, poi, si concentra soprattutto su programmi e materie di studio. C’è una forte esigenza di incrementare le ore di inglese, a partire già dalla scuola primaria, affiancandole lo studio di un’altra lingua. Anche l’approccio dovrebbe essere diverso: meno grammatica, meno nozioni teoriche, più “conversation” e applicazioni al vissuto quotidiano.
La spaccatura è invece abbastanza netta sull’opportunità di conservare alcune materie tradizionali della scuola italiana. Da più parti l’insegnamento delle discipline spiccatamente umanistiche (come il latino e il greco, o la storia antica) viene ritenuto anacronistico: specie nei licei scientifici, dovrebbero – a detta di alcuni lettori – cedere il passo all’informatica e alla tecnologia. Ma c’è anche chi chiede di puntare di più proprio sulle materie classiche, ed in particolar modo sulla storia dell’arte, che rappresentano la cifra distintiva della scuola italiana rispetto al resto del mondo. Indicazioni discordanti, che muovono probabilmente in direzione di una riforma complessiva del ciclo di studi, da accorciare e magari specializzare maggiormente già negli ultimi anni della scuola secondaria.
Condivisa, invece, è l’opinione che, a prescindere dalle materie, gli insegnamenti vengano condotti in maniera troppo teorica e speculativa: i ragazzi chiedono più attualità e più applicazione pratica dei propri studi. Per far questo sarebbe il caso di approntare finalmente quella rivoluzione digitale di cui si parla da anni. E più in generale di migliorare infrastrutture e strutture della scuola, troppo spesso fatiscenti.
Tante le opinioni anche sugli insegnanti: costretti a svolgere il proprio lavoro in condizioni inaccettabili, ma a cui pure si chiede un salto di qualità rispetto al passato. Le storie di precari sfruttati e malpagati sono all’ordine del giorno. Anche genitori e studenti lo riconoscono, e pretendono maggior dignità per un mestiere dal fondamentale valore sociale. Tuttavia, la qualità dei docenti italiani non viene ritenuta del tutto soddisfacente. Molti studenti lamentano lo scarso aggiornamento professionale dei propri insegnanti (ma qui, ancora una volta, la colpa è soprattutto dello Stato, che fa poco o nulla a riguardo). Ed è forte la richiesta di una sistema di valutazione delle scuole. Non Invalsi, però, su cui il giudizio è negativo. Ma un sistema in grado di verificare l’avanzamento delle conoscenze degli alunni e l’operato (anche a livello didattico e non solo nozionistico) dei docenti.
Quanto al rebus sul reclutamento, dieci anni di caos a livello ministeriale hanno lasciato il segno sul mondo della scuola. Le richieste sono tante e contrastanti. La più pressante è quella di sanare la posizione dei precari storici, esaurendo una volta per tutte le graduatorie. Ma resta aperta anche la ferita dei nuovi abilitati senza cattedra: tante le lettere dei vincitori del Tfa (Tirocinio formativo attivo), che rivendicano il diritto all’insegnamento e protestano contro l’avvio dei Pas (i Percorsi abilitanti speciali). Per il futuro, poi, non c’è troppa fiducia nello strumento del concorso: meglio, secondo alcuni, copiare il metodo britannico e assegnare agli istituti il compito di assumere i docenti migliori. Ma un sistema simile in Italia potrebbe funzionare?
È una delle tante domande a cui il ministro Maria Chiara Carrozza dovrà rispondere. Perché, al di là del sondaggio online, resta del Miur la responsabilità di trovare le soluzioni giuste ai problemi della scuola. Il ministro – sottolineano i lettori – non lo dimentichi.

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